UN FILO DI INCHIOSTRO
Abito nell’attico di un elegante condominio, a pochi passi dal centro. Ho una bella casa, ampia e luminosa, con una grande finestra dalla quale posso vedere le montagne. Passerei le ore a guardare il mondo dietro i vetri, mi aiuta a distrarmi, mi rilassa. Mi sento parte di quel mondo. Amo viaggiare, ho tanti interessi e un lavoro che mi appassiona.
È domenica mattina ed è una splendida giornata di sole. Il vento ha pulito l’aria e il cielo è terso: il giorno perfetto per una lunga passeggiata al Parco Boschetto. Infilo le scarpe da ginnastica e un paio di pantaloni comodi, prendo lo zaino e mi appresto a uscire. Prima di andare mi fermo ancora un istante davanti alla finestra. Guardo la mia città. Dall’alto è invitante e bellissima, piena di strade e vicoli da esplorare, brulicante di persone e di vita. Allora penso a Nina, la portiera del mio palazzo. Cinquant’anni vissuti in un monolocale buio, con una sola finestra, aperta sull’androne. Una vita in una stanza: un tavolo coperto da una tovaglia di tela cerata, un divano letto, una lampada sempre accesa, odore di chiuso.
Era dolce, Nina, sempre gentile e disponibile, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Statura media, capelli lisci e castani, stretti in una coda. Un fisico asciutto. Niente trucco, semplice ma curata. Mi faceva soffrire vederla sempre chiusa tra quelle quattro mura. Si allontanava solo per fare qualche acquisto al mercato o nei piccoli negozi alimentari della zona. Passavo davanti alla portineria e lei era lì, nella penombra, china sul tavolo davanti alla finestra. Alzava lo sguardo nel vedermi passare e mi sorrideva, sempre pronta a ritirare la posta, ad aprire la porta, a risolvere i piccoli e grandi problemi del condominio. Amava leggere, e per anni ci siamo scambiate libri e consigli di lettura. Apriva la porta e mi passava un romanzo: «L’ho finito stanotte, leggilo, poi mi farai sapere cosa ne pensi», mi diceva emozionata.
Era arrivata a lavorare nel mio palazzo da giovane. Io ero ancora una bambina. L’ho sempre vista sola. Mai un uomo davanti alla sua porta, mai un’amica. Tutto quello che so di lei, è che era partita dal suo paese, in Calabria, un pomeriggio d’estate. Aveva lasciato tutto da un giorno all’altro e si era presentata qui: un buon lavoro e un tetto sulla testa, per rifugiarsi dai temporali della vita.
Qualche volta scambiavamo due parole, anche se non mi mai aperto il suo cuore e non mi ha mai raccontato niente di sé. Nina non dava confidenza facilmente, e nessuno le si era mai avvicinato, se non per necessità. Forse ero l’unica ad aver notato quella luce accesa nei suoi occhi. Per questo cercavo di convincerla a cambiare lavoro, o almeno a cercare un altro condominio che le potesse offrire un appartamento più confortevole e una vita migliore. La vedevo sfiorire giorno dopo giorno e pensavo che un nuovo ambiente avrebbe potuto darle il giusto slancio per cominciare a vivere, finalmente.
«Ah, ma io sto bene qui» mi rispondeva, quando provavo a chiederle di uscire con me o cercavo di convincerla a coltivare qualche interesse fuori casa.
«Perché, Nina?», le chiedevo. E continuavo a esortarla: «Esci, conosci gente, vai al cinema, vai a fare una passeggiata, prova a divertirti, trovati un compagno, che diamine!».
Nina allora si rabbuiava qualche istante, come se un pensiero le stesse sfiorando la mente.
Salivo al mio appartamento sconfitta e amareggiata, mentre lei continuava quella vita grigia, fatta di giorni tutti uguali, impilati uno sopra l’altro. Ai miei occhi il suo mondo sembrava un fragile castello di carte, pronto a crollare al primo soffio di vento.
Nina è morta un anno fa.
Non aveva parenti, né amici, così sono andata io a liberare il suo piccolo appartamento, per fare posto al nuovo custode.
Allora ho compreso.
Nina scriveva romanzi. Ho trovato centinaia di manoscritti, tutti rilegati con un nastrino rosso e custoditi con cura. Non c’erano confini nel cuore di quella donna, ma avventure, sogni, passioni. Era tutto dentro di lei.
Sul tavolo c’era una busta indirizzata a me. L’ho aperta e ho trovato una vecchia fotografia: un ragazzo e una ragazza, abbracciati. Sul retro, poche righe, un po’ sbiadite dal tempo:
“Cara Nina, quando leggerai queste parole, io non sarò più accanto a te. Avrei voluto diventare un bravo scrittore, lo sai. La mia vita si è spezzata troppo presto, non ne ho avuto il tempo. Ma la nostra storia non può finire qui e allora scrivila tu: racconta di noi, del nostro amore, di questo sentimento puro e forte che ci ha uniti. Ti amo. Per sempre tuo, Giovanni.”
Nina ha voluto donarmi il suo ricordo più caro.
Ho trascorso giorni e notti a leggere i suoi romanzi. Mi rammarica non poterle raccontare quante emozioni, quanti pensieri hanno suscitato in me le sue parole.
Domani passerò a ritirare le prime copie stampate. L’editore è entusiasta! «Sarà il caso editoriale dell’anno», mi ha detto. E lo penso anch’io.
Spero che Nina e Giovanni possano godersi il successo da lassù, e vivere finalmente quella loro storia d’amore, così grande e così pura, resa eterna da un filo di inchiostro e dalla passione di una vita.